La '2 Cavalli' fa 70 anni, Citroën racconta la sua storia

26-Lug-2018  
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DS 4

6 ottobre 1948, Salone dell’Automobile di Parigi. Un nuvolo di visitatori si trova di fronte allo stand Citroën. Lì è esposta una vettura nata per trasportare 2 contadini con gli zoccoli, 50 Kg di patate e un barilotto di vino ad una velocità massima di 60 Km/h con un consumo di 3 l per 100 Km: è la Citroën 2CV.

ALLE ORIGINI DEL MITO

70 anni fa veniva presentata al pubblico il primo esemplare della Citroën 2CV. In verità la mitica auto dal double chevron ha una storia più antica. 1935, muore precocemente André Citroën. La sua azienda è sostenuta dai fratelli Michelin (quelli delle gomme) e passa sotto la direzione di Pierre-Jules Boulanger. Quest’ultimo resta stregato dalla filosofia del predecessore nonché fondatore della Casa automobilistica. Decide così di sviluppare e migliorare il profitto partendo dalle esigenze degli automobilisti francesi.

IL SONDAGGIO DI BOULANGER

Qual è l’auto che desiderate? Quanti cilindri? Quante portiere? Quante ruote? Ecco, da queste semplici domande che Pierre-Jules Boulanger rivolge a tutta la Francia, emerge che il popolo dei primi del ‘900 ha ancora bisogno di un mezzo economico, in grado di trasportare di tutto come si faceva con i carri trainati dai cavalli. L’estetica? Un optional.

LA PROVA DEL CAPPELLO

Purtroppo allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo studio che da quel sondaggio era scaturito si arena. Il progetto ‘T.P.V.’ (Toute Petite Voiture) nel 1939 aveva dato luce a circa 250 prototipi. Boulanger li provò uno per uno con in testa un cappello di paglia: al contadino era rivolto questo modello a 4 ruote e il contadino mai si separa dal suo cappello; se non si può entrare e scendere dall’auto col cappello in testa vuol dire che la vettura non va bene...

DALLA T.P.V. ALLA 2CV

Il conflitto bellico fermò dunque la bizzarra selezione di Boulanger. Al termine delle ostilità lo scenario era inevitabilmente mutato. Boulanger non si perse d’animo e decise di rivedere il progetto T.P.V. Sparirono alcuni elementi divenuti arcaici, come il singolo faro anteriore o l’avviamento a manovella. Rimasero invece i finestrini anteriori, la cui metà inferiore si ribaltava verso l’alto; erano stati pensati così per consentire al conducente di segnalare i cambi di direzione mettendo il braccio fuori dal finestrino. Si passò dalla T.P.V. alla 2CV.

LA ‘LUMACA DI LATTA’

La ‘Lumaca di Latta’, come era soprannominata, in breve tempo divenne un fenomeno sociale. La lista d’attesa arrivò a durare anni. Le prime unità erano grigie, con un motore di 375 cc che permetteva di raggiungere i 60 Km/h consumando quei fatidici 3 l per 100 Km. Le 2CV arrivarono sulle strade l’anno successivo. Poi fu la volta della versione furgonata biposto, con capacità di carico di 250 Kg. La ‘Lumaca’ divenne più potente, con motori di cilindrate superiori ma sempre a 2 cilindri. La 2 CV fece scuola all’interno della Casa francese: altri modelli Citroën nacquero riprendendone telaio e architettura.

LE SPECIALI

Nacquero i modelli speciali. Come la 2CV 4x4 denominata ‘Sahara’, approntata per le classiche spedizioni francesi nei deserti africani. Nel 1976 il designer Serge Gevin presentò una curiosa livrea bianca e arancione a strisce, riprendendo la fantasia di una sedia a sdraio. Nel 1981 arrivò la celebre Charleston, la speciale più rinomata e di successo; essa proponeva uno stile retrò ed era in doppia colorazione: o gialla e nera o bordeaux e nera.

LA FINE E UN NUOVO INIZIO

La 2CV Charleston prolungò la vita della Citroën 2CV sino al 1990, anno del termine della produzione. Le nuove normative europee la misero inesorabilmente fuori gioco. Il 27 luglio 1990 uscì dallo stabilimento l’ultima 2CV. In totale sono 3.868.634 le unità rilasciate dal 1948 al 1990. Oggi, raduni oceanici celebrano in ogni angolo del mondo quella che resterà per sempre una delle icone della storia dell’automobile. E a Parigi girano alcune 2CV elettriche, segno che la marcia della ‘Lumaca di Latta’, parsimoniosa nei consumi e nelle prestazioni, non si è ancora fermata.

Autore: Francesco Bagini