Citroën 2CV: la storia di un'icona nata 77 anni fa

08-Ott-2025  

Nel 1936 Pierre-Jules Boulanger, direttore di Citroën, scrisse un capitolato che oggi sembra alquanto bizzarro ma che all’epoca cambiò la storia dell’automobile.

Chiese di progettare una vettura “che potesse trasportare due contadini con il cappello in testa e gli zoccoli, cinquanta chili di patate o un barilotto di vino, a sessanta all’ora consumando tre litri per cento chilometri”.

Una richiesta insolita, nata però da quella che fu la prima vera indagine di mercato automobilistica, condotta in tutta la Francia.

Alla domanda “Possiedi già un’automobile?”, la maggior parte dei francesi rispose di no. Erano agricoltori e artigiani che sognavano un mezzo economico, robusto e capace di sostituire il carro a cavalli.

Da auto per contadini a icona mondiale

Da lì nacque il progetto TPV, Toute Petite Voiture, che doveva portare la mobilità nel cuore della Francia rurale. Nessuno poteva immaginare che quella piccola utilitaria, pensata per il fango dei campi, sarebbe diventata un’icona mondiale: la 2CV, simbolo di libertà e leggerezza, amata per quarant’anni senza mai davvero invecchiare.

12 anni di sviluppo

La gestazione fu lunga: dodici anni, rallentati dalla guerra. Nel 1939 erano già pronti 250 prototipi, ma Boulanger, fedele al suo pragmatismo, volle testarli di persona.

Si presentò con un cappello di paglia (quello dei contadini, il suo target) e tentò di salire su ogni vettura: se il cappello cadeva, il prototipo era bocciato.

Alla fine ne restarono una quindicina, poi distrutti per evitare che cadessero in mani tedesche. Tre sopravvissero, nascosti in un sottotetto della pista di Ferté Vidame, dove vennero ritrovati negli anni ’90.

Dalla TPV la 2CV ereditò i curiosi finestrini anteriori con apertura verso l’alto, pensati per permettere al conducente di segnalare la svolta col braccio: un dettaglio semplice ma geniale.

Il debutto a Parigi nel 1948

Il debutto avvenne il 7 ottobre 1948 al Salone di Parigi. Gli esperti ridevano, ma il pubblico no: i concessionari Citroën vennero presi d’assalto e la lista d’attesa si misurava in anni.

Nacque così la Lumaca di Latta, che fece della praticità il proprio orgoglio. Come recitava la parafrasi del capitolato originario: "Due sedie a sdraio sotto un parapioggia, capaci di portare due contadini (col cappello in testa), 50 kg di patate, un sacco di farina e una cesta di uova attraverso un campo arato. Senza rompere nemmeno un uovo!"

Missione compiuta grazie al genio di Flaminio Bertoni, che ne modellò le forme in legno e gesso, al motore bicilindrico di Walter Becchia e all’ingegneria di André Lefebvre.

Un'icona (anche nel cinema) fino al 1990

La 2CV divenne presto un mito dei grandi viaggi: attraversò il Sahara, arrivò in India, in America, fece il giro del mondo, corse nei rally e perfino nei film di James Bond.

Tra le molte versioni speciali, la più amata fu la Charleston, che la mantenne in vita fino al 1990.

Quando le nuove norme europee ne decretarono la fine, Jacques Wolgensinger, storico responsabile della comunicazione Citroën, spiegò che catalizzare la 2CV l’avrebbe snaturata:
"Giovanotto, la 2CV è fatta per schivare gli ostacoli, non per sbatterci contro".

L’ultima 2CV uscì dalla fabbrica di Mangualde il 27 luglio 1990. In totale ne furono prodotte 3.868.634, oltre cinque milioni se si contano le derivate. Ma più che un numero, fu un addio simbolico: la piccola Deuche non usciva di scena, entrava direttamente nella leggenda.

Autore: Redazione